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Respondabilità civile del medico

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La natura della respondabilità civile del medico

 

La responsabilità civile del medico ricorre quando siano lesi la vita o l’integrità psico-fisica di un soggetto. Il danneggiato può agire per ottenere l’integrale risarcimento dei danni sia nei confronti della parte, pubblica o privata, con la quale ha instaurato il rapporto giuridico sia nei confronti del medico - dipendente o convenzionato - che materialmente abbia determinato l’evento dannoso.

L’obbligazione del medico ad una determinata prestazione può derivare da un contratto d’opera intellettuale, da un contratto di lavoro subordinato oppure, ancora, può avere origine non contrattuale (situazione di urgenza; incarico conferito da una P.A. per pubblico interesse; rapporto in favore di un terzo beneficiario, come nel caso dei familiari che affidino la cura del proprio congiunto incapace di intendere e di volere alla cura di un medico di fiducia). In quest’ultima ipotesi rileva, anche ai fini del risarcimento, la lesione del diritto (assoluto e protetto costituzionalmente all’art. 32) al bene salute.

La violazione del diritto di credito da luogo alla responsabilità contrattuale, la violazione del diritto assoluto da origine alla responsabilità extracontrattuale.Chi ha subito un danno a causa di una condotta illecita del medico chirurgo, può agire per il risarcimento del danno, sia contrattuale sia extracontrattuale; la scelta di quale delle due azioni esercitare, quando concorrano entrambi i presupposti, è rimessa alla valutazione discrezionale.

In questa materia, anche se vi è un preesistente rapporto giuridico con il medico - per cui sia configurabile una prospettazione in termini di responsabilità contrattuale - sarà di regola compresente anche la responsabilità extracontrattuale, in quanto i diritti che possono essere pregiudicati sono quelli primari ed assoluti dell’individuo (vita ed integrità psicofisica) al rispetto dei quali chiunque è tenuto. Si cumulano, in tale sede, l’obbligazione giuridica assunta con il contratto e l’obbligazione generale che si ispira al principio del neminem laedere.La differenza pratica tra le due forme di responsabilità è notevole e si riflette, oltre che sui termini della prescrizione, sull’onere della prova.

In materia extracontrattuale, la regola è che l’attore abbia l’onere di provare il fatto illecito. Vale a dire, non solo l’evento dannoso ma anche la colpevolezza (dolo o colpa) nella condotta dell’autore del danno ed il relativo nesso causale.

Nella responsabilità contrattuale, invece, all’attore è sufficiente provare il preesistente rapporto giuridico da cui deriva il suo diritto di credito ed è sul debitore convenuto in giudizio che ricade l’onere della prova di dimostrare - se vuole andare esente da responsabilità - che l’inadempimento dell’obbligazione sia dovuto a causa a lui non imputabile (1218 c.c.): vi è un’inversione dell’onere della prova.

Lo Studio Bisson, attraverso lo staff di avvocati di cui si avvale, è in grado di assistere le Parti avanti tutti i tribunali italiani, a costi particolarmente vantaggiosi per la propria clientela, la quale potrà richiedere allo Studio un preventivo, senza impegno, e così conoscere l'intero costo del giudizio da sostenere.

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Diritto di aborto

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La violazione del Diritto di aborto

La mancata diagnosi di una malformazione del feto, è astrattamente idonea ad impedire alla madre l’esercizio del diritto all’aborto: in tali casi si può prospettare un’ipotesi di risarcimento dei danni che ne conseguono (sia per il nascituro sia per i prossimi congiunti). La violazione deve essere accertata, nel caso concreto, alla luce della vigente normativa in materia. La legge 194/1978 – “norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza” – prevedendo la possibilità di praticare l'aborto volontario, crea una netta barriera tra il primo trimestre di gravidanza e il periodo successivo.

Entro i primi 90 giorni la decisione può essere motivata:

  1. da un serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna;
  2. dalle disagiate condizioni economico-sociali;
  3. dalle circostanze del concepimento, o da previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. (art. 4)

Dopo i 90 giorni dal concepimento, la legge italiana subordina la possibilità di ricorrere all'interruzione volontaria della gravidanza a precise condizioni (artt. 6 e 7):

  1. Sussistenza di un pericolo di vita per la donna;
  2. Insussistenza della possibilità di vita autonoma del feto e, allo stesso tempo, di un processo patologico (fisico o psichico) in atto per la madre che possa degenerare recando un danno grave alla sua salute.

A tal proposito la Cassazione ha però precisato che "non si deve accertare se in lei si sia instaurato un processo patologico capace di evolvere in grave pericolo per la sua salute psichica, ma se la dovuta informazione sulle condizioni del feto avrebbe potuto determinare durante la gravidanza l'insorgere di un tale processo patologico" .  Quanto alla possibilità di vita autonoma del feto "non spetta alla donna provare che quando è maturato l'inadempimento del medico il feto non era ancora pervenuto alla condizione della possibilità di vita autonoma, spetta al medico provare il contrario" Sent. 6735/2002

Ne consegue che il diritto della madre all'aborto è violato solo in presenza degli indicati presupposti.

Pertanto, se l'anomalia è tra quelle rilevabili nel primo trimestre di gravidanza, può certamente prospettarsi l'ipotesi di responsabilità del medico e dunque il diritto al risarcimento; infatti, la mancata informazione sullo stato di salute del feto, in questo periodo, impedisce alla donna di effettuare una scelta pressoché autonoma. Diversamente, se le malformazioni sono individuabili solo in epoca successiva al terzo mese di vita del feto, sarà necessario verificare la sussistenza delle circostanze prescritte dalla legge per tale ipotesi.

In materia la Cassazione precisa che "il risarcimento del danno per il mancato esercizio del diritto all'interruzione della gravidanza non consegue automaticamente all’inadempimento dell'obbligo di esatta informazione che il sanitario era tenuto ad adempiere in ordine alle possibili anomalie o malformazioni del nascituro, ma necessita anche della prova della sussistenza delle condizioni previste dagli artt. 6 e 7 della legge n. 194 del 1987" Cass. 2793/1999.

Il diritto al risarcimento nasce se - sussistendo tutte le condizioni previste dalla legge 194/978 per l'interruzione di gravidanza – il medico, colpevolmente, non abbia adempiuto al dovere di informazione sul reale stato del feto. In tal caso il risarcimento dovrà comprendere: il danno biologico del bambino (la lesione fisica), il danno patrimoniale (incluse tutte le spese sostenute e quelle previste per il futuro), la perdita di chance (tutte le possibilità che la vita può offrire ad una persona sana), l’eventuale danno psichico per la madre ed il danno “riflesso” per i prossimi congiunti.

Un’interessante novità in materia riguarda un recente orientamento della Suprema Corte che riconosce il diritto ad un risarcimento diretto anche per il padre. In passato il danno che il marito poteva lamentare era solo una conseguenza di quello patito dalla madre (rientrava nel danno riflesso ai prossimi congiunti). Oggi la giurisprudenza riconosce la possibilità che il danno si produca direttamente nella sfera paterna: "quest'ultimo però va rigorosamente accertato in concreto senza possibilità per il giudice di ricorrere ad un fatto notorio" Cass. 12195/1998

L’errore medico, peraltro, può far sorgere un diritto al risarcimento anche in assenza dei presupposti per l'interruzione di gravidanza.

Nell'ipotesi in cui sia accertato che, indipendentemente dall’informazione del ginecologo, l’aborto sarebbe stato impraticabile, deve comunque essere compensato, (equitativamente) lo shock subito dalla famiglia alla nascita del bambino malformato. In questi casi,una corretta informazione consentirebbe, infatti, ai parenti di prepararsi psicologicamente all'evento negativo consentendo loro la possibilità dievitare traumi e situazioni patologiche.
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Responsabilità medica

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Risarcimento danni da responsabilità medica

Vi è la colpa del medico allorché, in relazione alla sua attività, venga lesa l'integrità psico-fisica di una persona o ne venga cagionata la morte. Il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito nell'ambito della responsabilità del medico (e degli enti ospedalieri, privati o pubblici) e in quello della individuazione della responsabilità ha stabilito il principio che tale forma di responsabilità rientra nell'ambito di quella contrattuale.

Tale orientamento fa sì che il danneggiato, in virtù del principio della responsabilità contrattuale, non debba provare che il medico abbia agito con dolo o colpa, potendo limitarsi a provare l’esistenza del rapporto contrattuale, l’esistenza del danno subito e il nesso causale tra intervento e danni. Saranno il medico e la struttura sanitaria convenuti, che dovranno provare di aver agito con diligenza e senza colpa ed evitare così il conseguente risarcimento dei danni).

Secondo le ultime stime, in Italia, ogni anno, su circa 8 milioni di ricoveri in ospedali pubblici circa 300mila pazienti, ossia una percentuale pari al 4 %, denunciano danni. Di queste denuncie il 25 % riguarda colpa professionale dei medici e le richieste di risarcimento sono circa 150mila, di cui 12mila pendenti davanti ai giudici.

Fondamentale ai fini di avviare una azione risarcitoria è determinare se sussiste o meno la responsabilità del medico che aveva in cura il paziente. A tale scopo è necessario munirsi di una adeguata perizia medico - legale redatta da un diverso medico, esperto della stessa branca medica che possa certificare la responsabilità del primo medico.

Grazie ad Avvocati esperti in materia del risarcimento del danno, lo Studio Bisson avvalendosi del contenuto della perizia, che dovrà essere fornita dal cliente, si attiverà presso le competenti autorità giudiziarie per consentirvi di ottenere il giusto risarcimento.

In questo particolare e delicato settore, riguardante la salute del cittadino, lo Studio Bisson applica il principio del "pay per result" ovvero: nessun compenso sarà richiesto al cliente in caso di mancato accoglimento della domanda.

Lo Studio verrà retribuito solamente in caso di esito positivo del Giudizio e con un corrispettivo che sarà commisurato all'entità del risarcimento percepito (15% per risarcimenti fino ad €. 25.000,00; 10% per risarcimenti superiori ad €. 25.000,00).

 

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