Studio Bisson

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Casa, Benessere, Sicurezza

Equilibrio termico

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Gli esseri umani hanno un sistema di controllo termico che permette un adattamento a condizioni ambientali molto variabili. Tenendo presente che il nostro organismo è in grado di misurare il flusso termico in ingresso e quello in uscita e di attivare delle regolazioni affinché la temperatura corporea rimanga sempre mediamente attorno ai 37 °C. La temperatura cutanea può invece variare molto di più al mutare delle condizioni ambientali. La pelle funziona infatti come scambiatore di calore con l’esterno. Si hanno quindi differenze fra la temperatura corporea interna (praticamente costante) e quella cutanea variabile in funzione della temperatura ambientale e della posizione corporea.

In ambienti caldi o per attività intense il meccanismo di regolazione adottato è in primo luogo la dilatazione dei vasi sanguigni dell’epidermide con conseguente aumento del flusso di calore verso la pelle e aumento del calore superficiale. Nel caso la vasodilatazione fosse insufficiente si attiva la produzione di sudore che evaporando causa una ulteriore dissipazione di calore.

In ambienti freddi inversamente l’organismo economizza il calore riducendo l’afflusso di sangue verso la cute attraverso la vasocostrizione e quindi riducendo il calore disperso per convezione e irraggiamento. Nel caso la vasocostrizione risultasse insufficiente sopraggiungono i brividi che incrementano il metabolismo muscolare e quindi la produzione di calore. Oltre un dato limite queste regolazioni automatiche del nostro organismo non sono più sufficienti ed allora si hanno sensazioni di malessere di troppo caldo o troppo freddo. Andando oltre possono sopraggiungere gravi disturbi fino alla morte (mediamente sotto i 35 °C e sopra i 40 °C di temperatura corporea profonda). Per avere l’equilibrio termico la somma delle quantità espresse in termini di flusso termico deve essere nulla:


Si ha quindi l’equazione del bilancio termico del corpo umano in condizioni stazionarie:     M - E ± R ± C = 0

con:    C = scambi di calore per convezione e conduzione;
R = scambi di calore per irraggiamento;
M = calore prodotto dal corpo per effetto del metabolismo corporeo;
E = calore disperso per la traspirazione della pelle, l’evaporazione dell’umidità e del sudore sulla pelle e per effetto della respirazione.

 

In particolare nel caso di un soggetto intento in attività sedentarie all’interno di un locale climatizzato, nel periodo invernale, si hanno le seguenti dispersioni di calore:

  • Irraggiamento: 40 %;
  • Convezione: 25-30 %;
  • Evaporazione: 20-25 %;
  • Conduzione: trascurabile

 

I parametri principali che influenzano il benessere termico sono quindi:

  • Temperatura dell’aria;
  • Temperatura media radiante;
  • Velocità dell’aria;
  • Umidità relativa;
  • Attività (metabolismo);
  • Abbigliamento;
  • Fattori soggettivi.

 

 

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Benessere ambiente domestico

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In generale una persona si trova in stato di benessere quando non percepisce nessun tipo di sensazione fastidiosa ed è quindi in una condizione di neutralità assoluta rispetto all’ambiente circostante.

Dalla definizione è chiaro che il benessere è una quantità non misurabile analiticamente ma solo statisticamente perché dipende da troppe variabili di cui alcune strettamente soggettive e di natura psicologica.

Le variabili sono:

  • il benessere termico e igrometrico;
  • il benessere olfattivo (legato alla qualità dell’aria);
  • il benessere visivo (relativo all’illuminazione);
  • il benessere psicologico.


Nel seguito dell’analisi verrà analizzato principalmente il benessere di tipo termico e igrometrico.


 

Valutazione del comfort negli Ambienti Domestici

Tutti i fattori sopra elencati interagiscono fra loro per determinare le sensazioni di benessere o malessere.

E’ impossibile giudicare il confort ambientale sulla base di uno solo di questi parametri. Per la valutazione numerica delle condizioni ambientali a cui corrispondono sensazioni di benessere termico si è ricorsi a sperimentazioni di tipo statistico valutando il grado di soddisfazione di gruppi di persone all’interno di ambienti variamente climatizzati, intente ad una certa attività e con un determinato abbigliamento. Ad esempio nella metodologia sperimentale per la valutazione della sensazione termica dell’uomo sviluppata dallo scienziato danese P.O. Fanger si definiscono:

  • PMV: voto medio previsto (Predicted Mean Vote);
  • PPD: percentuale di persone non soddisfatte (Predicted Percentage of Dissatisfied).

 

Essendo un modello statistico legato alla soggettività il diagramma risultante è di tipo gaussiano con un 5 % dei soggetti non d’accordo sulla condizione di neutralità. Dal 1984 il metodo del PMV è alla base della Norma Internazionale Standard ISO-7730 per la valutazione del confort termico in un ambiente. Alcune valutazioni di altri studiosi fra cui Humphreys (6) introducono un modello adattivo sostenendo che il confort dipende anche dall’area geografica. Si sono infatti riscontrate delle differenze fra le temperature giudicate confortevoli a seconda della nazionalità.


Dalle valutazioni di Humphreys emerge anche che, soprattutto in periodi o climi caldi si raggiunge più facilmente una condizioni di confort se si può operare sui sistemi di controllo ambientale modificandoli a seconda delle proprie esigenze. Contrariamente in un ambiente climatizzato con condizioni costanti e non modificabili direttamente occorrono temperature più basse di 2 °C per il confort.

Infine si può determinare la temperatura operante che garantisce il confort in un dato ambiente in funzione dell’attività svolta e del vestiario, a parità di UR (50 %). Nel diagramma di fig. 4 le bande alternate indicano la variazione di temperatura (D T) attorno a quella ottimale, cioè la situazione considerata di benessere dall’80 % del campione in esame. Quindi se ad esempio si evidenzia che un soggetto intento in un’attività leggera (1,3 Met), con vestiario estivo (0,4 Clo), è in condizione di benessere ad una temperatura di 26 °C, con una variazione massima accettabile di 1,5 °C.
Nelle medesime condizioni ma con un vestiario più pesante (1,2 Clo) la temperatura ottimale è di 18 °C con una variazione accettabile di 3 °C.

 

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Sicurezza e Tipo di ponteggio

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I diversi tipi di Ponteggio
  • Ponteggi Fissi a Telai Prefabbricati
  • Ponteggi Fissi in Giunto- Tubo
  • Ponteggi Multidirezionali
  • Ponteggi Elettrici, Autosollevanti a Cremagliera
  • Ponteggi Sospesi su funi

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Antinfortunistica per i Montatori di Ponteggi

Le Attrezzature che ogni montatore deve avere sono:

  • Cintura con cosciali e bretelle omologata
  • Cordino in acciaio omologato
  • Cordino di vincolo
  • Elmetto di sicurezza
  • Gancio porta chiave 21/22


L´operatore addetto al montaggio dei ponteggi, attualmente, non deve avere alcuna abilitazione di legge. La cosa importante è che costui sia segnato all´ INAIL con la qualifica di ponteggiatore.


Ogni qualvolta il ponteggiatore deve montare sul ponteggio deve indossare la cintura di sicurezza e l´elmetto, ed accertarsi che questa sia a sua volta allacciata, per mezzo del cordino di vincolo, al cordino di acciaio di trattenuta a terra. Il cordino d´acciaio deve essere posizionato sempre al piano ove si sta lavorando.

 

Il cordino deve essere fermato alle due estremità della ponteggiatura, in modo che non si possa sciogliere, usando gli appositi sistemi di fissaggio. Il cordino di vincolo deve essere munito di dissipatore di caduta. Il dissipatore serve per rallentare la caduta prima dell´arresto finale. Senza il dissipatore l´operatore, in caso di una caduta, subirebbe sempre dei traumi abbastanza gravi. Il cordino che va dalla cintura al cordino d´acciaio non deve essere più lungo di Mt. 2,00.

 

 

 

Incendio (approfondimento)

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  Principali termini per definire un incendio:

In generale, per comportamento al fuoco si intende quell’insieme di trasformazioni fisico-chimiche conseguenti all’esposizione, di un materiale o di un sistema costruttivo, all’azione del fuoco.

All’interno di questa “generica” definizione, la normativa italiana attualmente in vigore introduce e distingue due fondamentali concetti:

  • la reazione al fuoco;
  • la resistenza al fuoco.

Reazione al fuoco e resistenza al fuoco sono due aspetti del comportamento al fuoco dei materiali o delle strutture tra loro molto diversi. Pur tenendo conto che nel campo delle pareti in POROTON® ciò che più interessa è sicuramente la resistenza al fuoco, si ritiene opportuno riportare una definizione precisa di questi concetti e delle procedure richieste dalle norme per la loro determinazione.


 Reazioni al fuoco

La “reazione al fuoco” di un materiale è definita dal D.M. 30/11/1983 “Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi” come:
“... il grado di partecipazione di un materiale combustibile al fuoco al quale è sottoposto”.

Il D.M. 26/6/1984 “Classificazione di reazione al fuoco ed omologazione dei materiali ai fini della prevenzione incendi” stabilisce che i materiali debbano essere classificati assegnandoli alle classi 0, 1, 2, 3, 4, 5 con l’aumentare della loro partecipazione alla combustione; quelli di classe 0 non sono combustibili, quelli di classe 1 sono difficilmente combustibili, ecc.. Lo stesso decreto definisce le modalità di prova, certificazione e omologazione da seguire. La classe di reazione al fuoco fornisce quindi un giudizio sulla attitudine del materiale a contribuire o meno al carico di incendio.

Il D.M. 14/1/1985 “Attribuzione ad alcuni materiali della classe di reazione al fuoco 0 (zero) prevista dall'allegato A1.1 al decreto del Ministro dell’interno 26 giugno 1984” attribuisce (art. 1) ai materiali di seguito elencati classe di reazione 0:

  • materiali da costruzione, compatti od espansi a base di ossidi metallici (ossido di calcio, magnesio, silicio, alluminio ed altri) o di composti inorganici (carbonati, solfati, silicati di calcio ed altri) privi di leganti organici;
  • materiali isolanti a base di fibre minerali (di roccia, di vetro, ceramiche ed altre) privi di leganti organici;
  • materiali costituiti da metalli con o senza finitura superficiale a base inorganica.

Tutti questi materiali sono considerati incombustibili senza essere sottoposti a prova e per essi non viene rilasciato alcun atto di omologazione.

 


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Sicurezza domestica

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Ogni anno, in Italia più di 3000 persone muoiono tra le mura domestiche a causa di cadute. Ogni 10 secondi, inoltre, nelle abitazioni avviene un incidente che richiede cure ospedaliere (dati ISTAT e INAIL).

Anche se le strade rimangono di gran lunga il luogo più pericoloso in assoluto, e quindi necessitano per prime una risposta più adeguata in termini di prevenzione e repressione (soprattutto da parte dello Stato) la mole degli incidenti domestici é tale da rendere necessaria anche nella abitazioni un'opera di prevenzione.

Per interpretare il dato degli incidenti domestici, ed evitare di drammatizzare senza motivo la relativa situazione, si deve tenere conto che nelle case gran parte degli incidenti riguardano le persone anziane ed i bambini, e costituiscono, quindi, un dato fisiologico. I bambini, infatti, ovunque si trovino sono esposti ad un rischio maggiore a causa della loro necessità di scoperta del mondo. Gli anziani, d'altra parte, per la loro maggiore vulnerabilità fisica, sono soggetti a conseguenze di maggiore gravità a parità di trauma.

Premesso, quindi, che l'IASA non intende mettere in secondo piano la strage delle strade rispetto al tema della sicurezza in casa, in questa pagina l'associazione offre il proprio contributo per mitigare le conseguenze dei rischi domestici, con alcune informazioni essenziali.

  • Le cause più frequenti
  • Le cadute
  • Le sostanze pericolose
  • La sicurezza elettrica
  • La sicurezza dei bambini
  • La sicurezza dei materilai
  • Le fonti di inquinamento domestico

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